Uno sguardo che accarezza la memoria

1° maggio 2010

Con questo titolo, qualche anno fa, chi scrive presentava ai lettori il suo primo editoriale da della rinnovata edizione di “Sosta e Ripresa”, che ricominciava le sue pubblicazioni quattro anni dopo il ritorno al Signore di Tommasa Alfieri. Riproporlo all’inizio di questa presentazione di una nuova edizione dei suoi scritti, nell’anno centenario della sua nascita e nel decennale di quel passaggio al Padre, è un modo per riflettere ancora una volta sulla sua lezione. Riflettere non solo nel suo significato di meditare, che si dà comunemente al termine, ma anche in quello di farsi specchio.

Farsi specchio di quella lezione sembra estremamente difficile, nonostante il sostegno che offre la sua eredità, anche in modo tangibile, in ogni angolo dell’Eremo di Sant’Antonio alla Palanzana, che Tommasa Alfieri volle e realizzò come un “luogo dell’anima”, in cui espresse forse meglio se stessa, produsse la parte più intensa, più profonda, più serena della sua opera ecclesiale ed educativa.

In questo sforzo di riflessione, più utile dell’intelligenza o del bagaglio professionale può essere la memoria. Pubblicare le sue opere, nate in gran parte in quest’Eremo, significa farsi accarezzare dallo sguardo di Tommasa Alfieri, quello della sua vicenda terrena, quello sguardo tutto umano che sembra fermarsi ancora sui luoghi e sugli oggetti dell’Eremo, sui visi di quanti vi si incontra, anch’essi sentiti da chi scrive come un dono della sua amicizia che permane. Ma soprattutto quello della sua presenza di oggi, in una comunione resa ricca ed efficace dalla contemplazione di Dio.

A volte quel suo guardare era difficile da definire. Non era distante o disattento. Anzi, la sua capacità di prestare attenzione piena a quanti incontrava era una delle sue caratteristiche più peculiari e mostrava un’intensità amorevole e penetrante. Ma pur nella dua attenzione piena, quello sguardo appariva come aperto su un altrove che l’interlocutore faticava a localizzare, nello spazio e nel tempo. Oggi quell’altrove si comprende meglio. Oggi immergersi nella sua opera restituisce un suo presente che continua.

Tommasa Alfieri Laura Ciulli
Tommasa Alfieri

Tommasa Alfieri, guardava talora il passato, spesso il futuro, sempre il presente. I progetti concreti realizzati, quelli di ogni giorno e quelli dell’intera sua vita di insegnamento e di testimonianza, li spiegava a volte abbandonandosi al linguaggio carezzevole dei sogni, cosciente che l’utopia di oggi può diventare la realtà di domani. Anche l’Eremo era nato – o meglio era rinato – da quello che altri avrebbero chiamato un sogno. Ma il suo non era un sognare ingenuo, non era fantasticheria, ma la visione profonda dei precursori, accompagnata da un’intelligenza determinata e gioiosa e persino da un’allegria genuina, francescana si potrebbe dire, non priva di qualche guizzo di ironia.

Era nata negli agi e viveva con un’essenzialità davvero povera, di quella povertà che non è miseria faticosa, ma scelta di vita, primato della ricchezza interiore. E di quella scelta faceva – quasi involontariamente, verrebbe da dire – ricchezza esteriore, non di orpelli o di lusso, ma di eleganza, di gusto, di comunione con il Creatore, con le creature e con la creazione. La bonifica, il consolidamento e il restauro progressivo dell’Eremo – nel quale aveva realizzato non un sogno, ma un’idea cullata e vagheggiata a lungo con monsignor Giuseppe Canovai – parlano di questa eleganza, di questo gusto e di questa essenzialità allo stesso modo di come testimoniano l’impegno laicale ad una vita interiore e a uno spirito di servizio di forte, convinta intensità.

Nel prendere tra le mani questo libro, ci si sente pieni di gratitudine profonda, per la ricchezza di queste pagine, per la memoria che l’Eremo tramanda, per la possibilità di farsi avvolgere ancora da quello sguardo premuroso e penetrante, capace di far sostare in alto e di consentire una ripresa fortificata.

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