“Moro vive aldilà dei suoi carnefici”, Gero Grassi a Viterbo per l’inaugurazione di due mostre a 40 anni dalla morte dello statista
È il 24 aprile del 1963 un bambino di 5 anni incontra per la prima volta Aldo Moro a Terlizzi, provincia di Bari. Dopo un piccolo incidente al dito, chiede alla nonna di conoscere Aldo Moro.
Si vota per le elezioni politiche in quell’anno e l’onorevole parla da un palco improvvisato. Il bambino si è addormentato poco più in là. Moro lo prende in braccio a voler simboleggiare l’impegno ed il rispetto per l’Italia nascente, per il futuro rappresentato dai giovani.
Questo era Aldo Moro. Il bambino era Gero Grassi e questa sera, in una gremita Sala Almadiani a Viterbo, ha parlato di questo grande statista ucciso dalle Brigate rosse, dopo il rapimento, dove hanno perso la vita i valorosi uomini della sua scorta. L’occasione è stata l’inaugurazione di due mostre a 40 anni dalla morte.


L’onorevole Grassi descrive la figura di Aldo Moro con passione e determinazione.

Lo fa da tempo, girando per l’Italia, facendo conoscere quella verità che sta venendo a galla, dopo anni di silenzio ed oblio, grazie alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta, presieduta dal già Ministro viterbese Giuseppe Fioroni.
Ne traccia i tratti che evidenziano un grande uomo, con una vita, una politica che hanno come filo conduttore dei punti di riferimento: pace, futuro, speranza.
La persona prima di tutto, questo è il messaggio di uno statista che come ricorda Grassi diceva: “Nel Mediterraneo vogliamo la pace, perché già nella Seconda Guerra Mondiale si è macchiato della morte della miglior gente”.
“C’è un filo conduttore dal primo articolo del ’41 all’ultimo”, spiega Grassi.
Cita due articoli di quel tragico 9 maggio ’79: uno intitolato “La prima volta senza Moro” e l’altro di Carlo Bo, “Moro abbandonato”.
Perché Moro muore da solo come un cane, e come scrive Bo ” È un martire laico della libertà e della democrazia”.
Gero Grassi è un fiume in piena e nella sala ci sono anche allieve di Aldo Moro, che annuiscono con gli occhi lucidi. Prosegue ed afferma che “Hanno tentato di distruggerne l’immagine, ma loro sono nell’oblio. Parlare di Moro, non è guardare il passato, ma il presente. È dare dignità a quelle morti ingiuste.”
Cita il suo operato, il capovolgimento dello Statuto Albertino: “Non lo Stato, ma la persona, lo Stato riconosce alla persona i diritti, non il re. Diritto alla libertà personale, culturale, al lavoro, alla salute, alla mobilità. La persona è al centro. I diritti li porta la persona, e lo Stato deve riconoscerli e salvaguardarli”.
Moro, un uomo di valore e valori morali profondi, amato e rispettato, che sapeva ascoltare, che girava tutti i Comuni, che ha ricevuto delle rape da un contadino, che non voleva nulla in cambio, ma soltanto donargli le rape, perché sapeva che gli piacevano.
Gero Grassi conclude il suo intervento con una constatazione che racchiude tutta la vicenda del presidente della Democrazia Cristiana: ” Moro vive aldilà dei suoi carnefici”.

Il moderatore Aldo Fabbrini, dichiarandosi orgoglioso di questo incontro, passa la parola al già Ministro Giuseppe Fioroni.

Moro e la Costituente è il suo tema e Fioroni esordisce affermando che “Non c’è politica, senza credere in qualcosa. Erano scontri tra visioni diverse, si usciva da un’esperienza di totalitarismo, ma la persona è un essere unico ed irripetibile ed è più importante dello Stato”.
Fioroni nella sua analisi si chiede, perché la gente ripercorre la vita di Moro ed offre una chiave di lettura: “Gli italiani amano la politica, perché è condivisione, è credere in qualcosa”.
Ma poi incalza: ” La persona è portatrice dei diritti fondamentali scritti nella prima parte della Costituente che lo Stato ha il dovere di tutelare. Una Repubblica libera e democratica, sa accettare la centralità della persona. Accettare che ogni persona ha una propria identità, vuol dire che lo Stato deve garantire la pluralità delle azioni. È un meccanismo unico ed irrepetibile, non si ha paura delle diversità. Moro aveva la forza delle idee e del pensiero, era moderato nelle espressioni, ma radicato sui valori a cui si riferiva”.
Conclude presentando una rete culturale e politica che vuole diffondere il grande patrimonio di Moro, la cultura dei cattolici popolari e democratici. Saluta e dice: “La politica che ho fatto io non appassiona più nessuno…, viviamo nell’attimo fuggente, Moro scriveva lettere, non i mi piace, i like o i tweet, come ora. Il suo è un messaggio che ciascuno di noi può fare proprio”.
A porgere i saluti dell’ Amministrazione il vice sindaco Contardo, che ha ricordato di come da ragazzo avesse appreso la notizia del rapimento e della morte di Aldo Moro. Più tardi giunge anche il neo sindaco Giovanni Maria Arena.


Per il presidente della Provincia Pietro Nocchi “Il messaggio di Moro è ancora attuale, dove la dignità è al centro”.

Il Vescovo di Viterbo Monsignor Lino Fumagalli ha evidenziato come “La vicenda Moro abbia segnato l’Italia, in un periodo difficile. Impariamo dalla sua storia, perché una litigiosità politica, può favorire gli estremismi.”
Foto Mariella Zadro, Laura Ciulli