Davide Pagnoncelli: “Nella scuola si deve sostituire alla diagnosi degli errori la diagnosi dei punti di forza e il monotoraggio delle positività concrete”
Davide Pagnoncelli è uno psicologo, psicoterapeuta con formazione in Teatroterapia e Arteterapia e alterna da molti anni, all’attività clinica, quella di responsabile di un Servizio Psicologico in ambito scolastico presso le scuole dell’Opera S. Alessandro di Bergamo.
Oltre a pubblicare, per addetti ai lavori, ricerche in ambito psicopedagogico e sociale su varie riviste scientifiche, la sua vasta esperienza lo ha portato a voler condividere con altri il frutto del suo lavoro e lo ha fatto con un libro dal titolo: “Figli felici a scuola”, edito nell’aprile 2018.

Se già il titolo presenta in modo chiaro quale sia l’intento del libro, con il sottotitolo: “Come Migliorare L’Esperienza Scolastica Dei Propri Figli Con L’Aiuto Di Un Allargacervelli”, ogni possibile dubbio viene del tutto scongiurato. La cosa che colpisce è l’utilizzo di un termine particolare: Allargacervelli. Perché questa scelta?
Il termine “strizzacervelli” applicato allo psicologo credo sia desueto e negativo, meglio “allargacervelli”! Io cerco di allargare il mio cervello e quello degli altri, ampliando orizzonti e prospettive.
Ognuno ha dentro di sé la possibilità di farlo, ognuno ha dentro un allargacervelli!
Quale ruolo ha, o dovrebbe avere, lo psicologo all’interno di una istituzione scolastica?
La dicitura spesso usata di “sportello psicologico”, riferita all’intervento dello psicologo nella scuola, mi sembra riduttiva, fredda e burocratica: preferisco quella di “Servizio Psicologico”.
Il Servizio Psicologico cerca di privilegiare, individualmente o in gruppo, il “lavoro sulla relazione” docente-alunno, genitore-figlio, docente-genitore. Non è sufficiente, infatti, trasmettere informazioni ed insegnare senza tener conto delle variabili socio-affettive, senza educare anche l’intelligenza emotiva e il sentimento sociale.
Credo che all’interno della scuola sia importante che lo psicologo abbia meno il ruolo di colui che interviene direttamente e prevalentemente sui “casi specifici” (cosa spesso infruttuosa per esigenze di tempo) e più di colui che si focalizza su alcuni aspetti cruciali dal punto di vista comunicativo, sociale, emotivo, organizzativo e didattico per favorire -dal proprio punto di vista- i cambiamenti possibili o l’eliminazione di talune interferenze che frenano l’apprendimento e la maturazione globale degli alunni.
Non è funzionale affrontare solo i problemi, ma è essenziale favorire progetti, relazioni significative e far venire alla luce potenzialità nascoste, sia dei singoli, sia dei gruppi, sia delle istituzioni.
È preferibile sostituire alla diagnosi degli errori, che richiama la conseguente calendarizzazione delle negatività, la diagnosi dei punti di forza e il monitoraggio delle positività concrete.
È un Servizio più complesso, ma certamente più efficace e completo in un’ottica di prevenzione del disagio evolutivo.
Penso che la mia esperienza possa fare da canovaccio all’interno del quale si possano collocare le varie risorse umane di ogni specifica scuola. Ne ho già parlato con alcuni parlamentari, spero che in questa legislatura si possa legiferare per organizzare un efficace Servizio Psicologico di Sistema!
In questi anni ha trovato difficoltà nel portare avanti la sua sperimentazione?
Difficoltà ne ho certo trovate, alcune me le aspettavo, altre no. Ho trovato resistenze soprattutto da parte di alcuni adulti (genitori o docenti) piuttosto rigidi, autoreferenziali e autocentrati sul proprio modo di pensare piuttosto ristretto. Nonostante l’ovvio fastidio e l’amarezza, le difficoltà mi hanno stimolato a fare meglio; ringrazio, perciò, quanti mi hanno rafforzato contrastandomi: chi in modo passivo, chi discomunicando il mio lavoro, chi in modo velato e un po’ ipocrita e chi -meglio- con modalità più dirette e vis à vis!
Sinceramente, però, ho trovato incredibili e stupende collaborazioni per tanti progetti che cito nel mio libro.
Nessuno realizza un buon progetto da solo! Lo sviluppo dell’intelligenza sociale è essenziale per chi opera nella formazione ed è gratificante scoprire concretamente tante possibilità e ricadute educative di progetti realizzati con spirito corale.
Dalla lettura del libro ci accorgiamo che a beneficiare dei servizi svolti da tale figura sono diverse categorie di persone. Quali e sotto quale forma?
Il Servizio Psicologico di cui sono responsabile è… più che maggiorenne (compie i 20 anni quest’anno!) e opera con continuità di intervento dall’1 settembre al 30 giugno di ogni anno scolastico in quattro scuole diverse gestite da un’unica struttura amministrativa (dalla Scuola dell’Infanzia, alla Primaria e alla Secondaria di primo e secondo grado, in specifico vari Licei).
La mia presenza è settimanale: almeno una mattina piena per ognuna delle scuole, più eventuali riunioni pomeridiane o serali.
Nel mio libro illustro un Servizio Psicologico di Sistema che interviene con singoli alunni, con piccoli gruppi o con la classe, incontrando e collaborando con molti genitori, con gli insegnanti e con i presidi/dirigenti.
Do un po’ di numeri relativi a questi vent’anni: più di 5.000 colloqui con gli alunni; più di 2.500 colloqui con genitori (singoli o in coppia); più di 3.000 incontri con presidi e docenti (oltre quelli informali); più di 100 progetti specifici, taluni molto innovativi e pure divertenti.
Ormai è noto l’apporto dato alla ‘crescita della persona’ con attività di tipo teatrale e artistico. Vuole parlarcene?
L’educazione è arte: lo esplicito anche in un punto del mio libro quando preciso il decalogo… ovviamente allargato del buon educatore e formatore.
Le molteplici metodologie artistiche sono parte integrante dell’educazione e incentivano la creatività, senza incasellamenti rigidi e norme penalizzanti. L’arte è fonte di meraviglie, distributrice di stupore. Noi non siamo nati per calcare impronte altrui e per conformarci, ma per lasciare il nostro segno unico e irripetibile.
Scriveva Aristotele: “Si ama quello che colpisce e si è colpiti da ciò che non è ordinario”.
Le sperimentazioni che ho attuato con metodologie mutuate dalla Teatroterapia e dall’Arteterapia hanno tentato, per quanto possibile, di ricercare modalità comunicative meno usuali all’interno della scuola.
A scuola di persona… col teatro! Per vari anni il teatro è stato presentato come scuola di vita e di espressività con l’utilizzo di metodologie psicocorporee, recitative, vocali, sceniche. L’attività è stata diretta da un’attrice e da un regista, ma si è coordinata con alcuni docenti e con lo psicologo per raccogliere osservazioni da vari punti di vista.
È stato un progetto di interclasse, con momenti di lavoro in piccoli gruppi su testi non predisposti, ma costruiti creativamente sulle caratteristiche personali dei ragazzi e sulla dinamica di gruppo.
L’immedesimazione nei personaggi, infatti, fa trasparire la propria personalità autentica, la recitazione aiuta a mettere in luce le parti profonde della propria personalità, talune ancora inespresse. Il teatro è viversi, compartecipare emozioni con gli altri. Vedere e sentire qualcuno che racconta e, a propria volta, mettersi in gioco nel raccontarsi aiuta a vivere e può essere, tra l’altro, una piacevole avventura.
La finzione recitativa stimola a osare, fa crescere!
Poter trasformare le emozioni piacevoli e spiacevoli in immagini o performance e poterle condividere o discutere aiuta ad affrontare i problemi e stimola le proprie risorse creative, la propria “mimesis”.
“L’uomo sa più di quello che comprende”, sosteneva lo psicoanalista Alfred Adler; le proprie produzioni artistiche (poesia, teatro, cinema, ecc.) aiutano ad ampliare il proprio sapere e ad accrescere positivamente la coscienza di sé.
L’artista si fa “amico” dell’inquietudine, di ciò che turba o che entusiasma, dei dilemmi, di quanto appare oscuro, misterioso o incontrollabile e cerca di recuperare in modo originale “il filo di Arianna” attraverso l’uso di metafore visive, sonore, cinetiche.
Si parla da tempo di “buona scuola”, ma perché lo sia davvero, trova che si sia fatto tutto il possibile o ci siano ancora margini per migliorarla? Se sì, ha qualche suggerimento utile da dare?
Io preferisco parlare di “scuola vitale”, di “scuola di persone” oppure di “scuola di comunità” piuttosto che di “buona scuola”: questa, infatti, appare un’espressione logora e inquinata da varie connotazioni e ambiguità.
Numerosi progetti molto interessanti ed estremamente validi sono stati realizzati in numerosi istituti scolastici della penisola.
Però occorre andare oltre, spingersi più avanti! La scuola necessita di una profonda riforma del proprio sistema, a partire -per esempio- dalla scelta del personale, dalla valutazione degli alunni, dall’orientamento sia scolastico che personologico e dall’interazione concreta con la società attuale.
I lettori possono mandare una mail al Dott. Pagnoncelli scrivendo all’indirizzo allargacervelli@gmail.com