Il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, qualche giorno fa al Meating di Rimini, ha detto in sintesi, tra l’altro, che gli interessi sul debito pubblico italiano equivalgo più o meno alla spesa nazionale in istruzione e ha aggiunto o che per ridurre tale debito è indispensabile aprire le frontiere a milioni di lavoratori immigrati. Non credo di forzare la notizia se mi spinge a qualche considerazione su un tema che esula gli aspetti strettamente contabili, quello del peccato, di solito non troppo approfondito negli strumenti di comunicazione per l’opinione pubblica.
Peccato è una parola difficile da definire. In generale potremmo dire che secondo tutte le grandi religioni è ciò che contrasta il progetto di Dio per l’uomo. Per quanti – e soprattutto nei Paesi dell’opulenza – religiosi non sono, potrebbe sintetizzarsi nell’egoismo di chi fa pagare ai più deboli i propri privilegi.
Nella definizione della dottrina della Chiesa cattolica i peccati sono “catalogati” in diverse categorie. In questa sede limitiamoci a contestualizzare nella realtà attuale i quattro che secondo la Chiesa gridano vendetta – o meglio le cui vittime gridano vendetta – al cospetto di Dio. Sono i peccati sessuali contro natura, l’omicidio volontario, togliere il giusto compenso al lavoratore, l’oppressione del povero. In questo il magistero ecclesiale ha prodotto importanti approfondimenti che risultano evidenti nella Dottrina sociale della Chiesa (ricordando che su questi temi l’aggettivo è essenziale). Sul primo e più in generale sull’identità e sui comportamenti della sfera sessuale basti dire che è passato molto tempo dalla prassi confessionale preconciliare quando persino i bambini nella quasi totalità dei casi erano sottoposti a stringenti interrogatori in merito.
Gli altri tre andrebbero letti sinotticamente, perché in sostanza le tragedie che provocano sono strettamente collegate. L’omicidio volontario non è questione solo individuale, ferme restando le responsabilità personali in qualunque delitto, ma chiama in causa la guerra e l’uso indiscriminato delle armi, tenendo presente la mai abbastanza citata opinione di Papa Francesco sul fatto che le guerre si fanno per vendere le armi. Per inciso, per quanto riguarda l’Italia, quest’anno supererà per la prima volta i 29 miliardi di euro, con una crescita del 5,1% rispetto al 2023 e del 12,5% in due anni. E per cosa si spendono non è chiaro, dato che l’Italia è l’unico Paese a non rendere pubblici, per esempio, quali armamenti fornisce all’Ucraina.
Negare il giusto compenso al lavoratore chiama in causa la sempre maggiore incuria dell’economia reale devastata da un liberismo da tempo asservito allo strapotere della finanza predatoria che ne trae profitti indecenti e di fatto truffaldini. L’Europa e in essa soprattutto l’Italia, un tempo ciulle dello Stato sociale, consentono da anni lo svuotamento dei diritti del lavoro, sempre più precarizzato e privato di quelle garanzie costate sudore e fatica alle generazioni del dopoguerra, con contratti che non garantiscono nulla, senza l’obbligo di retribuzione decente, per esempio con un salario minimo garantito che non consenta, come in Italia, di spacciare il lavoro povero per aumento dell’occupazione. E chi il lavoro non lo trova comunque viene tacciato di essere un fannullone da chi percepisce appannaggi favolosi senza di fatto mostrare di meritarseli.
L’oppressione del povero cresce ovunque nel mondo con il venir meno dei punti fondamentali della convivenza civile, valga per tutti il finanziamento prioritario della sanità pubblica, con stanziamenti proporzionali al prodotto interno lordo e non con pochi soldi spacciati per aumento della spesa pubblica nel settore. Senza un sostegno al bisogno di effettiva incidenza, come esiste del resto quasi in ogni Paese europeo, ma non nel nostro, dove era stato finalmente introdotto, ma è stato cancellato con motivazioni convincenti solo per chi nel bisogno non è mai stato. Senza un sistema fiscale equo, cioè progressivo e controllato davvero, senza ammiccamenti ai potentati finanziari, a quanti realizzano guadagni immensi sottoposti a tassazioni nulle o irrisorie, e neppure agli evasori di minore ma comunque significata rilevanza.
Il Prodotto interno lordo (Pil) è una fotografia di questa situazione. Non trova invece spazio adeguato nell’informazione quel Prodotto sociale lordo (Psl), pure misurabile e misurato, che racconta i vantaggi della pace, del lavoro non schiavizzante, della lotta alla miseria. Un paio di dati lo spiegano bene. Del Pil mondiale le guerre assorbono oltre 14% e sottraggono alle necessità delle popolazioni oltre 15 trilioni di dollari (in cifra si scrive 10 seguito da dodici zeri). La sola spesa diretta in armamenti, in continua crescita nell’ultimo ventennio, nel 2023, ultimo dato accertato dal Sipri di Stoccolma (Istituto di studi sulla pace tra i più prestigiosi e attendibili al mondo) è stata di 2.443 miliardi di dollari, per quasi il 60% da Paesi della Nato, seguiti da Cina e Russia che insieme non raggiungono la metà della cifra statunitense. E risulta già evidente che nel 2024 la guerra in Ucraina e quella a Gaza hanno aumentato la spesa, dato che le altre guerre non si sono certo fermate.
La cifra significa più o meno 6,7 miliardi al giorno. Circa 150 miliardi, 22 giorni di spesa in armi, secondo le stime della Banca Mondiale garantirebbero acqua potabile e servizi igienico-sanitari di base a quanti nel mondo non ne hanno, oltre due miliardi di persone, riducendo drasticamente le malattie, soprattutto infantili, e per inciso contenendo in modo significativo il fenomeno migratorio. Con 267 miliardi di dollari in più l’anno, spesi per le armi in una quarantina di giorni, secondo l’Onu, si metterebbe fine alla fame nel mondo entro il 2030.
Sulle questioni italiane, basta citare un dato solo: il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza nei 57 mesi in cui sono stati in vigore (aprile 2019-dicembre 2023) hanno erogato 34,5 miliardi di euro, più o 1,2 milioni al giorno nella media del periodo. A fine 2024 gli italiani avranno speso, euro più euro, 79 miliardi e mezzo al giorno per mandare armi in giro.