Restituire il futuro: un pezzo datato, ma straordinariamente attuale

Care lettrici e lettori di InfiniteRealtà.it casualmente ho trovato questo articolo del 2011 su Il Messaggero di Sant’ Antonio, che mi sembra straordinariamente attuale. La firma è di Renato Molia, del quale non riesco a trovare notizie, ma il cui stilemi sembra familiare e lo pubblico per offrirvi la possibilità di riflettere. Buona lettura.

Restituire il futuro

Come si può costruire speranza in questo 2011 appena incominciato? Quali risposte si possono dare ai giovani? Non sono certo interrogativi facili, né tanto meno esauribili nello spazio di un articolo. In tutto il mondo, forse soprattutto nei Paesi ricchi, proprio i giovani hanno sempre più forte la percezione di essere derubati del futuro, di pagare errori dei quali non sono responsabili, di essere sacrificati all’impotenza – o forse all’incuria miope e autoassolutoria – di classi dirigenti che non sanno dare loro risposte e, spesso, neppure ascolto e attenzione.
Da almeno un paio d’anni a questa parte, infatti, tutte le classi dirigenti invocano, a giustificazione di fallimenti e di promesse non mantenute, l’alibi della cosiddetta crisi globale, creata proprio da quel mercato al quale si continua ad attribuire la presunta esclusiva capacità di produrre ricchezza. Ma globale significa di tutti. E non è così. All’impoverimento dei più continua a corrispondere la crescita sfacciata della ricchezza depredatoria di pochi. E questa depredazione non distrugge solo le risorse di oggi, ma anche quelle di domani, basti pensare alle devastazioni dell’ambiente.

Da almeno un paio d’anni a questa parte, infatti, tutte le classi dirigenti invocano, a giustificazione di fallimenti e di promesse non mantenute, l’alibi della cosiddetta crisi globale, creata proprio da quel mercato al quale si continua ad attribuire la presunta esclusiva capacità di produrre ricchezza. Ma globale significa di tutti. E non è così. All’impoverimento dei più continua a corrispondere la crescita sfacciata della ricchezza depredatoria di pochi. E questa depredazione non distrugge solo le risorse di oggi, ma anche quelle di domani, basti pensare alle devastazioni dell’ambiente.

In tutto questo, un ruolo rilevante ha proprio la questione dei giovani. Stiamo rubando la loro eredità, stiamo assassinando il futuro. Si allarga sempre più la cosiddetta generazione Neet (Not in Education, Employment or Training), quella di giovani che non studiano e non lavorano. I dati più recenti diffusi dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) dicono che nei Paesi aderenti (quelli più ricchi) l’economia globale si sta riprendendo, ma che l’occupazione giovanile sta andando peggio: i giovani hanno più del doppio delle possibilità di trovarsi senza lavoro rispetto agli altri. Nell’area Ocse ci sono tre milioni e mezzo di giovani disoccupati in più e almeno 16,7 milioni si trovano appunto nel cosiddetto gruppo Neet. Tra questi ultimi, almeno dieci milioni hanno smesso di cercare un lavoro. Cioè hanno smesso di battersi per il loro futuro, hanno subito e subiranno il peso di un’esclusione di lungo termine.

Un nuovo Sessantotto?

I mesi dell’autunno e dell’inverno hanno visto in diversi Paesi europei, ma anche in altri continenti, le proteste dei giovani, studenti e disoccupati, sommate a quelle di tante categorie disagiate, crescere esponenzialmente dalle forme legittime, e non poche volte creative, all’asprezza di un dissenso al quali alcuni gruppi – certo estremisti, ma non necessariamente estranei al sentire comune dei giovani – hanno dato l’impronta della violenza. Non è la prima volta che accade, ma stavolta non sembra quella sorta di liturgia identitaria che ogni anno porta a occupazioni di scuolesaltare presunte meritocrazie, sarebbe il caso di denunciare quei populismi che hanno smontato il patto sociale, quello fondato sul lavoro e soprattutto quello tra generazioni. Vale per tutti, ma vale soprattutto per quanti si dicono cristiani. Perché derubare i giovani della speranza è una delle forme più perniciose del dare loro scandalo. Costruire speranza è anche e soprattutto non derubare i giovani del loro entusiasmo. Perché diventare adulti non significa rinunciare a quell’entusiasmo, ma imparare a esprimerlo nella fatica del quotidiano, nelle esperienze ripetitive, se non banali, oltre che nelle occasioni straordinarie. Significa affiancare alla forza delle motivazioni la costanza, l’impegno, la pazienza, o meglio la fiducia di avere sia il tempo sia le prospettive.e e università , ma una critica di sistema che ricorda quella del Sessantotto.

Gesù aveva trent’anni

La risposta, se tale può essere definita, del mondo degli adulti di oggi oscilla tra contrapposti luoghi comuni, quali la presunta assenza di valori e di progetti nel mondo giovanile o, al contrario, l’altrettanto scontata adesione a una sorta di primato del «giovanilismo». Da un lato si accusano i giovani di non farsi protagonisti della propria vita. Dall’altro si frustrano, con pensosi e talora tronfi richiami a un supposto buonsenso, quelle che vengono definite velleità o utopie dei giovani stessi.

Il mondo cattolico – quello degli adulti – in questo senso non fa eccezione. I giovani vengono visti più come terminali di una catechesi specifica che come protagonisti dell’evangelizzazione del loro tempo e della loro concreta esperienza storica. Si tende a dimenticare spesso che il cristianesimo stesso è giovane nella sua essenza e nei suoi principali protagonisti. Maria era una fanciulla quando accettò di cambiare la sua storia personale e quella dell’umanità, con quel fiat senza logica, senza buon senso, ispirato solo da fiducia e da amore. Era poco più che un ragazzo Francesco, quando scelse una radicalità folle agli occhi del mondo, eppure in grado di prendere il mondo per mano. Lo stesso Gesù aveva appena trent’anni quando percorreva le strade di Galilea, di Giudea e di Samaria. Gli esempi non sono certo scelti a caso: proprio i giovani e le donne sono le due macrocategorie più vaste dell’umanità (non tutto il mondo ha il progressivo invecchiamento di popolazione al quale è soggetto l’Occidente), ma al tempo stesso quelle meno rappresentate nei processi decisionali.

Ed è tempo di cambiare, tempo di restituire diritti, di alimentare speranza.

©Il Messaggero di Sant’ Antonio

 

 

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