Per riflettere prima della Messa:10 novembre 2024, XXXI domenica Tempo ordinario (Anno B)
Donare e donarsi Mc 12, 38-44
In quel tempo Gesù diceva alla folla mentre insegnava: “Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave”. E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino.
Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: “In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.
Questo brano è costituito da due scene nettamente diverse tra loro. Nella prima sono protagonisti gli scribi, (i colti, i dottori della legge); nella seconda invece è una povera vedova. Gli scribi formavano una classe molto stimata dalla gente contadina, semplice e incolta. E, strano a dirsi, essi in contraccambio nutrivano un profondo disprezzo per i poveri e gli analfabeti (cf Gv 7,49). Si reputavano i soli colti; erano designati col termine sopherìm, cioè “uomini del libro”. Davano importanza a regole e a interpretazioni cavillose della legge, e meno si curavano di giustizia, di misericordia e di aiuto verso i più bisognosi.
Gesù si rivolge ai discepoli e alla folla ed esordisce con un imperativo scandito con solennità: Guardatevi dagli scribi, quasi a dire “non fidatevi di loro, statene alla larga”. E li mette in guardia da tre madornali deviazioni: dalla vanità: “amano ricevere i saluti nelle piazze e avere i primi posti”; sono gli uomini dell’esteriorità, di ciò che si vede, che appare; fanno svolazzare il mantello del rabbi, il tallit, per far vedere che sono uomini di preghiera. Inoltre il Maestro sottolinea l’ipocrisia degli scribi perché coltivano una religiosità secondo le occasioni religiose; “dicono e non fanno”. C’è infine per loro un’altra vistosa deviazione: la cupidigia, “divorano le case delle vedove”, stornano interi patrimoni e arraffano quanto possono senza scrupoli.
Nella seconda scena è protagonista una povera vedova in veste dimessa e umile; ha nel pugno due monetine ben strette, passa vicino a una delle buche nel lato sinistro del cortile delle donne e con gesto furtivo le lascia cadere dentro al tesoro del tempio. Gesù richiama l’attenzione dei Dodici e lo fa in tono solenne con un Amen, per far comprendere che sta per dire una verità sacrosanta: “Questa povera vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, ha messo tutto quello che aveva per vivere”. Questa donna è una splendida immagine dell’amore che sa rinunciare anche a ciò che è necessario.
Il dono degli altri è interessato, quello della vedova è di pura gratuità; loro donano del superfluo, lei dona del suo necessario; loro si affidano al denaro, lei soltanto a Dio; essi non rischiano nulla, lei rischiatutto. L’obolo è insignificante, ma l’offerta è totale. Al Signore e al prossimo non si tratta di donare ciò che avanza, ma ciò che costa sacrificio, privazione…
Quel che conta non è la quantità, ma la qualità; cioè conta il come si dona, e il come dipende dal cuore, conta quanto cuore c’è nel dono; il cuore ha ricchezze che non si vendono e non si comprano, ma si donano. Ogni vita per essere vissuta in pienezza deve esprimersi in dono. E nessuno può dire di non aver nulla da dare, da dire e da fare, perché il Signore ha messo nel cuore di ognuno abbondanti ricchezze. Ognuno può e deve essere regalo per l’altro, per il fratello. Ognuno è chiamato a vivere pienamente la propria vita non sotterrando i talenti ricevuti, ma mettendoli a frutto. Saremo giudicati infatti proprio sull’uso che avremo fatto di ogni talento o carisma ricevuto.