Per riflettere prima della Messa: XXXII Domenica Per Annum – ANNO C
La vita oltre la tomba Lc 20, 27-38
Nota: La Chiesa festeggia oggi, domenica 9 ottobre, la Dedicazione della Basilica lateranense, cattedrale di Roma (e si è soliti aggiungere “del mondo” in riferimento al primato di Pietro, dato che è appunto la cattedrale del Papa). Quando questa festa cade di domenica la sua liturgia prevale su quella della domenica per annum (è già accaduto domenica scorsa con la commemorazione di tutti i fedeli defunti e per inciso, anche in questo caso sono previste alla Messa tre possibili liturgie della Parola). Le preziose riflessioni di padre Ubaldo Terrinoni OFM Capp sui Vangeli delle feste di precetto che la Chiesa fissa nel triennio liturgico (anni A, B e C) non comprendono quelli di questa commemorazione, che ordinariamente di precetto non è quando cade di giorno feriale. Tuttavia è da ritenere un servizio ai lettori tra offrire loro il commento di padre Ubaldo sul Vangelo di quella che appunto è solitamente in questi Anno C la XXXII domenica del tempo ordinario.
In quel tempo, si avvicinarono alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: “Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello.
C’era dunque sette fratelli: il primo, dopo ver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”.
Gesù rispose: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degno dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli…”
Il pensiero biblico antico sulla sorte dei morti e sull’aldilà è molto nebuloso. Si riteneva che i defunti vivessero una povera condizione di vita “ombratile”, cioè si risultava come “ombre” (refà’im). Tutti i defunti andavano nello sheol: una enorme fossa, un luogo del silenzio, una dimora immutabile, una terribile prigione (Is 38,18). Ma la fede nella vita dell’aldilà viene esplicitamente testimoniata nel secondo libro dei Maccabei, verso il secondo secolo a.C.; la madre dei sette figli maccabei martiri esprime la certezza che quei figli le saranno restituiti; “nel giorno della misericordia li riavrà tutti e sette, e vivrà sempre con loro” (2Mac 7, 21-23).
La filosofia greca sosteneva l’immortalità dell’anima, ma considerava il corpo come una prigione per l’anima, come un peso, un ingombro. La rivelazione biblica invece considera l’uomo come un tutt’uno, come una unità vivente e, perciò, attende la vita futura come una esaltazione di tutto l’uomo (anima e corpo). Una verità che Gesù afferma con estrema chiarezza: “Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono in lui” (v. 38). I Sadducei (un partito costituito essenzialmente da classi sociali ricche, negavano la risurrezione dai morti) si presentano da Gesù con la storiella dei sette fratelli che, sulla base della legge del levirato, sposano tutti la stessa donna; nella risurrezione di chi sarà moglie?
L’errore madornale è quello di pensare e credere che l’al di là sia la semplice continuazione di questo nostro mondo. Tutt’altro! Sarà un mondo nuovo e divino in cui si vivrà la condizione di figli di Dio, “saremo uguali agli angeli – afferma Gesù – e, essendo figli della risurrezione, saremo figli di Dio” (v. 36). Vivremo un’esistenza nuova. La nostra futura risurrezione si fonda su quella di Cristo, il quale “è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dai morti” (1Cor 15, 20-21).
Noi tutti risorgeremo e saremo gli stessi ma trasfigurati, esattamente come si è presentato a noi Gesù trasfigurato sul monte Tabor (Lc 9, 28-36; Mc 8, 34- 9, 1). L’apostolo Paolo ha tentato di spiegare il nostro evento della risurrezione con la metafora della semente nel suo stretto rapporto con la pianta: “Si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso; si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale” (1Cor 15, 42-44).
L’illustre scienziato clinico Nicola Pende (1880-1970) affermava che “l’uomo è un essere composto di corpo, di anima e di Spirito Santo”, ed è destinato alla gloria. “Si tratta di tenere sempre presente ciò che è destinato ad essere per cui merita un grande rispetto – scrive M. Magrassi -; pertanto non può essere umiliato e disonorato dalle passioni. Quel disonore si proietta su Dio, perché siamo membra di Cristo. Questo rispetto si consegue solo accettando e sostenendo la lotta quotidiana tra lo spirito e la carne”.
