Per riflettere prima della Messa: 8 settembre 2024, XXII domenica Tempo ordinario (Anno B)
EFFATÀ: APRITI Mc 7, 31-37
In quel temo, Gesù, di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di galilea in pieno territorio della Decapoli. E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno.
Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!”.
Gesù si trova nella cittadina di Tiro in Fenicia, dove ha guarito la figlia della donna cananea Mc 7,24-30); poi risale a Sidone e punta verso sud-est nel territorio della Decapoli: è un gruppo di città abitate per lo più da gente pagana, che beneficia di un’amministrazione autonoma. Gesù era già conosciuto in questo contesto umano per il clamoroso miracolo della liberazione dell’indemoniato geraseno (5, 1-20). Quindi, appresa la notizia della sua presenza in quel territorio si pensa di portargli un sordomuto perché gli imponga le mani e lo guarisca.
Alle prese con questo infermo, Gesù segue un rituale medico-popolare legato alla cultura del luogo: lo conduce in disparte, da solo a solo, tocca l’organo malato quasi per comunicare una benefica energia e spalma un po’ di saliva nelle orecchie e nelle labbra in quanto nell’antichità si attribuiva alla saliva un effetto terapeutico. Gesù emette anche un sospiro (v. 34); probabilmente vuole sottolineare la sua intensa partecipazione alle nostre sofferenze e alle nostre miserie.
E però Gesù aggiunge due gesti di estrazione prettamente religiosa: alza gli occhi verso il cielo per una preghiera al Padre e rivolge un comando perentorio al malato: Effatà: apriti. Il prodigio si compie istantaneamente e il malato prende subito a parlare e a udire in modo normale. A questo punto, Marco dà voce alla folla che acclama e ringrazia Gesù dicendo: “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e parlare i muti”. È un evidente riferimento all’annuncio del profeta Isaia che dice: “fa udire i sordi e fa parlare i muti” (Is 35,5-6).
Merita notare che questi gesti compiuti da Gesù sono entrati ben presto nel rituale del sacramento del santo Battesimo: inizialmente in modo molto conciso, successivamente invece il rituale è stato accompagnato da un breve commento: il sacerdote tocca con il pollice le orecchie e le labbra del battezzato e dice: “Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola, e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre”.
Gesù compie gesti, ma si deve convenire che il prodigio si compie allorché egli ingiunge al sordomuto di aprirsi alla parola. É la parola che apre all’incontro, all’ascolto e al dialogo; è una parola che sollecita e aiuta ad allargare il cuore alla fiducia, alla speranza e alla sorpresa del domani. Il prodigio compiuto da Gesù apre anche e soprattutto all’ascolto della Parola di Dio. Questa Parola è potenza, è forza, è capace di radunare un popolo ma anche di fare un popolo. É per questo che la folla prima ancora di essere richiamata dalle esigenze del cibo materiale, è riunita dall’esigenza dell’ascolto della Parola.
L’evangelista Marco, sempre colorito e attento a rendere viva e animata la scena, scrive che Gesù insegnava loro molte cose (Mc 6,34); il che vuol dire che egli intrattiene i suoi ascoltatori su vari argomenti. Quindi nessuna meraviglia se egli, preso dall’ardore dell’argomento, si sia dimenticato dell’attenzione al tempo.