Per riflettere prima della Messa: 6 aprile 2025, V Domenica di Quaresima – ANNO C
"La miseria e la Misericordia". Gv 8, 1-11
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?
Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.
Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
A Gerusalemme si celebrava la festa delle Capanne, una delle tre solennità più importanti dell’anno liturgico ebraico. Era designata anche come “festa del pellegrinaggio” e cadeva tra la fine di settembre e i primi di ottobre; durava otto giorni e aveva due finalità: ringraziare il Signore per il raccolto della campagna e ricordare i quaranta anni trascorsi dal popolo di Dio nel deserto. Nel tempio e nelle abitazioni era tutto uno sfavillio di lampade e di torce e, quando scendeva la sera, si accendevano dei falò, per ricordare la colonna di fuoco che aveva guidato Israele lungo il cammino verso la terra promessa. Col calar delle tenebre poi la festa si animava di gioia e di danze e, sovente, degenerava in allegria festaiola.
Ebbene è appunto in una di queste circostanze che scribi e farisei, spiando qua e là, colgono in fallo una povera donna che fa proprio al loro caso. La trascinano davanti a Gesù nell’area del tempio, in mezzo al cerchio dei presenti, investendo il Maestro della parte del giudice: “Maestro, Mosè nella Legge ci comanda di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?” (v. 5). La domanda è fin troppo precisa! È costretto a prendere posizione. Gesù si china e scrive in terra. Ma essi pretendono una risposta precisa. Ed egli la dà: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (v. 7). “Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno” (v. 8).
Così Gesù da accusato si ritrova ad essere accusatore. La trappola che avevano teso per lui è scattata per loro. Egli è l’unico che può scagliare il sasso e vendicare Dio, ma rinuncia al diritto di condannare perché “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez 18,23; Sap 11, 23.26).
Lassù nei pressi del tempio, restano solo loro due: Gesù e la donna: sono di fronte la “la miseria e la misericordia” secondo una splendida espressione di sant’Agostino: Relicti sunt duo: miseria et misericordia. Sono là il peccato e la santità, la peccatrice e l’innocenza in persona. Gesù le chiede: “donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? – Lei risponde con due sole parole: “Nessuno, Signore!”. Si noti la dignità e la misurata discrezione della donna. Non tenta di giustificare la propria debolezza e il proprio peccato; non chiama in causa il suo complice; non pensa di far perdere le sue tracce e scomparire. No! Si è fermata “là in mezzo!”.
Gesù, l’unico che avrebbe avuto il diritto di condannarla, le fa credito per il futuro e le dichiara le parole del perdono: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (v. 11). Sono queste le parole della misericordia che rinnovano la vita, il cuore e l’anima. Egli non condanna, perché è il solo che sa perdonare pienamente. Non fa un minuzioso e severo esame di coscienza alla donna, non la rimprovera, non la scusa, non cerca di giustificarla, non le impone neppure una salutare penitenza. Le dice chiaramente che ha peccato e però la perdona e le dà fiducia per il futuro.