Per riflettere prima della Messa: 14 settembre 2025, XXV Domenica Per Annum – ANNO C
Scaltrezza e fedeltà Lc 16, 1-13
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli: “C’era un uomo ricco che aveva un amministratore e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua…”.
Questa parabola è esclusiva di Luca e non è affatto semplice e lineare. Narra di un grande proprietario terriero che ha affidato l’amministrazione dei suoi molti beni a un fattore, il quale è chiamato al rendiconto e, riconosciuto colpevole, è minacciato di licenziamento. Trovandosi ormai nei guai, pensa di provvedere al proprio futuro col ricorrere ad un’ultima truffa a danno del suo padrone. Del resto, abituato a dare ordini, si riconosce non più adatto al lavoro del contadino e tanto meno ha la capacità di improvvisarsi mendicante.
Pertanto, per la truffa la narratio si limita soltanto a due casi: chiama un debitore che doveva al padrone cento barili di olio, egli furbamente li riduce a cinquanta; un altro era debitore di cento misure di grano e anche per lui le riduce a ottanta. Così egli spera che un domani, quando sarà licenziato, questi beneficiati avranno qualche attenzione e gratitudine per lui. Certamente il fattore si è reso colpevole di gravi disonestà ma nella parabola c’è una sorpresa: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” (v. 8).
Gesù stesso ha riconosciuto “disonesto” l’amministratore! Di qui la lezione per noi: viene evidenziata e lodata la sua scaltrezza, la sua abilità nel provvedere per il suo avvenire. È sempre da lodare l’arte tanto antica di sapersi arrangiare per vivere. Ovviamente a questo scopo si fa ricorso al denaro che è sempre tanto utile e tanto prezioso. Però la sapienza degli antichi dice che ci si serve del denaro, ma si eviti di asservirci, perché il denaro è un buon servitore, ma è un cattivo padrone. E il saggio Qoelet ammonisce: “Chi ama il denaro mai si sazia del denaro e chi ama la ricchezza non ne trae profitto” (Qo 5,9). Quindi, non amare, ma semplicemente servircene!
Perché e quando la ricchezza è iniqua? – È iniqua quando viene accumulata soltanto per sé, quando la si limita all’esclusivo godimento personale; quando se ne fa tesoro per sé (Lc 12,21). Gesù ci ammonisce: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma” (Lc 12, 33).
Torna l’accostamento dei due paralleli nella parabola: “Figli del mondo” e “figli della luce”. I primi sono coloro i cui interessi si fermano nell’arco della breve esistenza terrena; i secondi invece sono coloro che programmano l’esistenza restando aperti alla vita eterna; occorre dimostrarsi avveduti allungando lo sguardo oltre il breve orizzonte, oltre l’oggi e il domani per puntare l’obiettivo verso la salvezza eterna. “Dunque, fatevi furbi, aprite gli occhi, vedete ciò che è necessario fare per salvarsi – raccomanda il Bonora -; quanto più impegno, quanta maggiore generosità, quanta alacrità dovrebbe distinguere i discepoli nel darsi da fare per la propria salvezza eterna!”.