Per riflettere prima della Messa: 1° dicembre 2024, I DOMENICA DI AVVENTO – ANNO C
"VERRÀ…" Lc 21, 25-28.34-36
“Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. E disse loro una parabola: “Guardate il fico e tutte le piante, quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che l’estate è vicina. Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico: non passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
Ogni uomo veramente vivo è in continua tensione verso il futuro; non tende ad avere sempre di più, ma ad essere sempre di più; è in cammino verso ciò che è meglio; cerca di sostenersi in un permanente slancio vitale; egli è realmente homo viator! Vive una perenne apertura al futuro; mantiene sempre giovane il cuore. Per questo la speranza infonde energia e forza e aiuta l’uomo a condurre la sua esistenza tra il già e il non ancora: cioè già siamo entrati nell’ultimo periodo della storia, ma non ancora è concluso; già viviamo e beneficiamo della presenza di Cristo, ma non ancora viviamo il Cristo totale; l’eternità di Dio è già presente nel tempo, ma non ancora la viviamo in pienezza.
In definitiva, il già e il non ancora sono in uno stretto rapporto come quello che vi è tra l’inizio e la fine, tra l’alfa e l’omega, tra l’imperfetto e il perfetto, tra il tempo del dolore e il tempo della gioia, tra il Cristo sofferente e il Cristo glorioso.
Con una suggestiva espressione, don Primo Mazzolari (1890-1959) scriveva: “la speranza vede già la spiga, quando i miei occhi di carne vedono ancora soltanto il seme che marcisce”.
E Charl Peguy (1873-1914) poeta e saggista francese, riferisce a Dio questa struggente dichiarazione: “La virtù che amo di più è la speranza”.
Per ogni uomo di fede, questa particolare virtù ha un preciso riferimento storico: è il Cristo che verrà a chiudere l’arco dell’intera storia della salvezza. Il Signore che verrà nello splendore della sua gloria è lo stesso che è venuto nell’umile silenzioso contesto di una grotta e che viene ogni giorno nella povertà e nel nascondimento delle specie eucaristiche per nostro nutrimento.
Il testo dell’evangelista Luca è decisamente polarizzato verso l’ultimo atto della grandiosa e affascinante storia dell’umanità: la parusìa, quale trionfo glorioso del Risorto. E tutta la Chiesa è protesa verso questo suo grande traguardo; e il credente deve tenersi pronto “con i fianchi cinti e le lucerne accese…come chi aspetta il Padrone al suo ritorno dal festino di nozze” (Lc 22, 35-40).
E dedicarsi a tradurre in vita un prezioso binomio: Vegliate e pregate. Una diligente vigilanza “per non appesantire il cuore nelle dissipazioni e negli affanni della vita” (Lc 21,34). Il “cuore” nell’antropologia biblica è la sede dei pensieri, delle scelte, delle grandi risoluzioni della vita, dei sentimenti, in breve, è la sede dell’intera personalità umana. Dunque sono richieste al credente una fedele veglia e insieme anche una incessante preghiera, senza stancarsi (Lc 18.1); una preghiera perseverante che non si lascia scoraggiare da ritardi e da mancate risposte e da silenzi di Dio; una preghiera che è sostenuta da una fede incrollabile fondata nella certissima bontà del Padre celeste.