Per riflettere prima della Messa: 15 dicembre 2024, III Domenica di Avvento
Vivere nell'attesa Lc 3, 10-18
Le folle lo interrogavano: “Che cosa dobbiamo fare?”. Rispondeva: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: “Maestro, che dobbiamo fare?”. Ed egli disse loro: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. Lo interrogavano anche alcuni soldati: “E noi che dobbiamo fare?”. Rispose: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe”.
La liturgia designa questa terza domenica di Avvento col titolo di gaudete; è un pressante invito che oggi la santa Chiesa rivolge a tutti i fedeli “gioite, esultate, rallegratevi, siate lieti…!”. Sul mercato della vita si vendono due specie di gioia: quella che è prodotta da noi e quella che ci deriva dal Signore. Le gioie di nostra produzione sono effimere, epidermiche, condizionate dal variare dell’umore; invece le gioie che hanno il Signore come unica sorgente sono stabili, profonde, perenni, garantite. E l’onda deliziosa che scaturisce dall’incontro con Dio risolve ogni angoscia e mette in fuga ogni disperazione: “Bene ho fatto io ad affidarmi fermamente a lui – scrive sant’Agostino nelle “Confessioni” -; che se così non fosse stato, mi sarei lasciato andare alla disperazione…”.
Le letture di questa domenica forniscono anche la motivazione della gioia intramontabile, perenne: Il Signore è vicino; il Signore è in mezzo a te, esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore. Si! Si conferma così che la gioia è una delle aspirazioni più profonde del cuore umano e Gesù viene tra noi perché la nostra gioia sia piena e così salda che nessuno potrà mai togliercela (Gv 16, 20-24). Molti oggi si illudono di placare questi aneliti “con il palliativo superficiale del piacere: e finiscono per trovare l’angoscia. Questo magro surrogato non ha mai colmato il cuore di nessuno. Il piacere si ferma ai sensi: la gioia è uno slancio puro e irresistibile di tutto l’essere” (M. Magrassi).
Per conseguire la vera gioia ecco che spunta la triplice domanda degli ascoltatori che si rivolgono al profeta del Giordano: Che cosa dobbiamo fare? Sono le folle, i pubblicani e i soldati come a indicare la destinazione universale del messaggio del Precursore. Alle folle non chiede gesti di culto, liturgie e penitenze, ma concreti gesti di carità fraterna e di giustizia: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; chi ha da mangiare faccia altrettanto” (Lc 3,12). Il Battista chiede di garantire a tutti la possibilità di poter programmare un’esistenza umana e dignitosa. Anche i pubblicani si appellano al Precursore! Questi sono gli esattori dello Stato, che cedono facilmente alla tentazione di alterare arbitrariamente l’importo da pagare dei cittadini a proprio vantaggio, per cui dire “pubblicano” era come dire “ladro” e Luca li dispone in coppia con i peccatori nel suo Vangelo (Lc 5,30; 7,34; 15,2; 19,7). Anche il pubblicano Matteo abbandona tutto per rispondere alla chiamata di Gesù per far parte dei Dodici intimi di Gesù.
Analogo consiglio Giovanni lo indirizza ai soldati: “non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe”; li esorta ad adeguarsi a ciò che è giusto e sobrio, rinunciando alla violenza oppressiva e al desiderio insaziabile di voler avere e possedere sempre di più. L’avidità divora l’uomo e i suoi averi; e Gesù nella parabola del ricco stolto lo licenzia col termine greco àphron cioè “stolto, stupido, vuoto, insignificante” (Lc 12,20).