Per riflettere prima della Messa: 19 ottobre 2025, XXX Domenica Per Annum – ANNO C

Il fariseo e il pubblicano Lc 18, 9-14

Laura Ciulli infinite realtà.it padre Ubaldo Terrinoni laura ciulli In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava neppure alzare gli occhi al cielo ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: Questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.

Anche questa parabola è riferita soltanto da Luca. Com’è suo solito non fa entrare in scena i personaggi sotto il velo di immagini, ma direttamente in persona; ci offre dei brani di vita vissuta, esperienze concrete di vita. Qui ci presenta dunque tre personaggi molto diversi e lontani tra loro, ma ora sono presenti tutti e tre nel tempio, a pochi metri di distanza l’uno dall’altro. Due sono ben visibili e identificabili (il fariseo e il pubblicano) il terzo è presente, ma invisibile: osserva e ascolta i due: è Dio.

Gesù, narrando la parabola, accosta il meglio degli ebrei (cioè, il fariseo) con il peggio dell’umanità (cioè, il pubblicano). Il fariseo dal piedestallo della sua giustizia, rappresenta il tipo di uomo religioso che si ritiene giusto perché osserva le leggi e disprezza cordialmente gli altri. Il pubblicano invece si considera peccatore irrecuperabile, implora umilmente misericordia dato che non ha meriti da presentare al Signore. E Gesù lo illustra con quattro puntualizzazioni: sta a distanza, non osa alzare gli occhi al cielo (cioè non ha il coraggio di assumere l’atteggiamento che è proprio dell’orante), si batte il petto per indicare il cuore come la sede di tutti gli sbagli e implora misericordia, la sua unica tavola di salvezza.

È molto evidente la contrapposizione tra i due personaggi! Il fariseo non è neppure sfiorato dal dubbio di essere colpevole di qualche peccato e crede di non dover nemmeno attendere il giudizio di Dio. Anzi, tale presunzione di luminosa rettitudine gli fa arrogare il diritto di tranciar giudizi sugli altri, il quali sono “ladri, ingiusti e adulteri”. Lanciando uno sguardo in fondo al tempio, scorge il pubblicano e subito prende le distanze anche da lui: “non sono come questo pubblicano” (v. 11). L’asse attorno a cui ruotano le sue certezze è e rimane l’io. Ma sant’Agostino lancia un monito: “se tu ti innalzi con l’orgoglio, Dio si allontana da te; se tu ti abbassi umiliandoti, Dio scende fino a te”.

Il pubblicano non ha nulla di buono, di positivo da presentare e da raccontare, perciò fa la saggia scelta di rimettersi totalmente alla misericordia di Dio; la sua vergogna è tale e il carico dei peccati gli pesa così tanto che egli è sfiorato dal dolore di essere sopraffatto dalla certezza di ritrovarsi troppo lontano dal Signore. Ha la chiara consapevolezza che la sua situazione è senza via d’uscita; perciò riconosce che è meritato il disprezzo che gli riservano gli altri ed è certo che soltanto la misericordia divina può soccorrerlo.

fu canonizzata da Pio XI il 17 maggio 1925 e proclamata Patrona Universale delle Missioni, contemporaneamente a San Francesco Saverio, dallo stesso Papa, il 14 dicembre 1927. Questo pubblicano ha la disposizione fondamentale di poter dialogare con Dio, ben certo che “la preghiera dell’umile penetra le nubi”. Con la preghiera si va al Signore perché è la fonte del bene e che senza di lui nulla ha valore. “Non voglio presentarmi a Dio con i miei meriti, – diceva santa Teresa di Lisieux -. Vado da lui con le mani vuote, perché le colmi dei suoi beni. Allora divento capace di compiere opere buone”.

Foto tratta dal web

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