È dal 2004 che in Italia si celebra, per decisione del Parlamento, il Giorno del ricordo, proprio il 10 febbraio.
Una commemorazione per ricordare le migliaia di vittime che tra il 1943 ed il 1947 vennero catturate, uccise e poi gettate nelle foibe, ossia le cavità carsiche dell’Istria e della Dalmazia.
Oltre diecimila persone gettate dai miliziani dell’esercito popolare di liberazione della Jugoslavia, i partigiani guidati da Josip Broz Tito, che risposero con ferocia alle atrocità inflitte dal fascismo, ad altrettanti innocenti cittadini slavi della regione.
Una pagina dolora e tragica della storia italiana del Novecento a lungo trascurata.
L’orrore del Novecento messo in atto da una pianificata volontà di epurazione su base etnica e nazionalistica, nel 1943, dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre.
A lungo trascurata, dunque, che ormai ci porta a riflettere e soprattutto ci porta a ricordare, ma anche a ribadire sempre il valore della pace.
Del resto Papa Francesco, in occasione della Giornata mondiale della Pace del 2017 aveva detto: “Siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali”.
Una violenza inaudita, con la quale migliaia di italiani sono obbligati a lasciare la loro terra, altri vengono uccisi o deportati nei campi sloveni e croati.
Nelle foibe i condannati venivano legati tra loro con un fil di ferro stretto ai polsi e poi fucilati, in modo che si trascinassero nelle cavità gli uni con gli altri.
“Una sciagura nazionale“, l’aveva definita così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, aggiungendo anche che il vero avversario da battere “più forte e più insidioso, è quello dell’indifferenza, del disinteresse, della noncuranza“.
Nella Tuscia sono quattordici le vittime. In questo giorno, grazie al Comitato 10 Febbraio sono ricordate.

A tal proposito il presidente del C10F, Maurizio Federici ribadisce che “Le foibe sono state una grande tragedia che ancora oggi qualcuno cerca di giustificare, negare o sminuire, etichettando le vittime come morti di serie B”.
Anche Silvano Olmi, dirigente nazionale sollecita ” iniziative dei Comuni per ricordare le vittime di questa infamia“.

Le vittime della Tuscia, quindi, ogni anno sono commemorate con una cerimonia, un corteo che confluisce a Valle Faul, al Largo Martiri delle Foibe, dove un cippo in loro onore è lì, silenzioso e significativo.
Sono: Finimaldo Angeletti, Augusto Bacchi, Otello Bigerna, Francesco Brocchi, Ennio Carosi, Carlo Celestini, Pierino Corinti, Luciano Lupattelli, Giulio Mancini, Cesare Merlani, Vincenzo Quadracci, Giovanni Ricci, Fabio Tamantini, Giovanni Tiburzi, Fulvio Pulcinelli.
Giulio Mancini, è l’ultimo del quale si è avuta certezza, dopo la desecretazione di documenti ufficiali, che la morte fosse da attribuire alla persecuzione titina degli italiani. Era un carabiniere originario di Civitella d’Agliano, in servizio alla fine della guerra a Gorizia. Con il passaggio della città al controllo jugoslavo, era stato trasferito a Gradisca d’Isonzo. Due mesi dopo, il 25 giugno 1945, fu ritrovato ucciso con un colpo di arma da fuoco alla nuca e con i segni di torture subite proprio a Gorizia, dove si era recato per recuperare oggetti personali.
L’Eterno riposo.
