Simonetta Cesaroni delitto di via Poma, 40 anni di misteri senza colpevole

Un delitto senza colpevole. Un enigma lungo trent’anni: l’omicidio di Simonetta Cesaroni.

Una storia infinita, mai risolta tra dubbi, misteri.

“Notti magiche” cantavano Gianna Nannini ed Edoardo Bennato, gli italiani erano presi dai Mondiali di calcio. È sera a Roma, in via Carlo Poma in quel martedì in cui una giovane ragazza Simonetta Cesaroni, figlia di un macchinista della metro e di una casalinga, viene barbaramente uccisa.

Via Carlo Poma

Una ragazza bella che lavora al computer  come segretaria alla Reli Sas, uno studio commerciale che ha fra i suoi clienti l’associazione italiana alberghi della Gioventù. È il suo ultimo giorno di lavoro quel 7 agosto e diventerà il suo ultimo giorno di vita.

Al civico 2 di via Carlo Poma, nel quartiere Prati, al terzo piano, scala B, qualcuno entra in quell’ufficio e ferma la vita di Simonetta.

Simonetta Cesaroni

Simonetta Cesaroni che nel suo diario scriveva: “Caro Babbo Natale, quanto tempo è passato da quando ti ho scritto l’ultima volta? Tanto tempo, forse troppo per una persona come me piena di sogni, speranze e dovrei dire illusioni. Ho sempre sognato di essere una donna, ma per fare una donna ci vuole un uomo, e non so se riuscirò a trovarlo”. Sognava l’amore ed ha incontrato la morte.

I suoi familiari la aspettano a casa, ma lei non tornerà più.

La sorella Paola, alla fine, con il fidanzato Raniero Brusco ed il datore di lavoro di Simonetta, Salvatore Volponi, si recano in ufficio a cercare la ragazza.

Sono circa le 23,30  e si trovano davanti uno scenario terribile: il corpo seminudo di Simonetta trafitto da 29 colpi, inferti probabilmente con un tagliacarte, è riverso sul pavimento. Simonetta ha ancora i calzettoni bianchi. Non ha le mutandine ed  il top e il reggiseno sono sollevati. Al polso ha l’orologio. Invece sono spariti gli slip, la giacca, i fuseaux blu, così come non si trovano gli orecchini, un anello, un bracciale, un girocollo. Oggetti in oro. 

L’assassino di Simonetta Cesaroni, comunque, ha lavato il pavimento e in parte anche il suo corpo. 

Il primo ad essere interrogato è Raniero Busco, il fidanzato della povera ragazza.  Agli inquirenti racconta che il giorno prima dell’omicidio lui e Simonetta hanno avuto un rapporto. Il ragazzo non ha segni addosso, qualcosa che possa ricondurlo all’effetto omicidio. Successivamente viene fermato il portiere del palazzo di via Poma:  Pierino Vanacore. L’uomo ha tracce di sangue sui pantaloni. Successivamente ne esce fuori, perché il sangue non è della vittima, ma è il suo, perché ha le emorroidi. Eppure il portiere rimane uno dei punti cardine dell’inchiesta. 

Vari i personaggi che entrano in ballo come un certo Rolando Voller nell’aprile 1992, che sembra sia un confidente delle Forze dell’Ordine, ma non tanto attendibile. Un uomo di origine austriache che coinvolge Federico Valle, il giovane nipote dell’architetto novantenne Cesare Valle, che  ha disegnato l’edificio di via Poma, dove abita. Sarà il GIP Antonio Cappello, il 16  giugno 1993 i, a prosciogliere  Valle per non avere commesso il fatto e Vanacore perché il fatto non sussiste. 

La verità è sempre più lontana. Ed intanto il 20 agosto 2005 muore di crepacuore Claudio Cesaroni, il padre di Simonetta.

Nel 2007 l’ex fidanzato Raniero Brusco, sposato e padre di famiglia, è  iscritto nel registro degli indagati per omicidio volontario.  Nel corpetto della povera ragazza sono state rinvenute tracce di  saliva e sul seno sinistro piccole escoriazioni  per  un morso, ritenuto compatibile con l’arcata dentaria dell’indagato.  Tutto rilevato dalle fotografie della Scientifica.

Inizia così il processo. È il 3 febbraio del 2010. Rispunta l’ex portiere Vanacore chiamato come testimone. Si è rifugiato in Puglia, sua terra d’origine. Il 9 marzo lo trovano senza vita nel mare di Torre Ovo, in provincia di Taranto.  Alla vigilia della sua testimonianza nell’aula bunker di Rebibbia, si suicida annegando. Lascia un biglietto: “Venti anni di sofferenza e sospetti portano al suicidio”.   Altro mistero. 

Raniero Brusco viene condannato a ventiquattro anni di reclusione, ma rimane a piede libero. Ma il  27 aprile 2012, la sentenza di secondo grado ribalta ed annulla tutto, proprio con un’assoluzione piena, per non avere commesso il fatto. Due anni dopo, il 26 febbraio, la Cassazione conferma definitivamente l’assoluzione.

Un giallo insoluto, un mistero irrisolto. Unica certezza: l’omicidio di una giovane ragazza di vent’anni che stava per andare in ferie, che aveva tutta la vita davanti. Simonetta Cesaroni.

Foto tratte dal web

 

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