Si è concluso da pochi giorni il 2023, un anno tragico, all’insegna di una parola che fa rabbrividire al solo pronunciarla: femminicidio.
Già, un fenomeno ormai sempre più al centro dell’attualità, con il suo triste quanto doloroso bollettino di morte. La cronaca, infatti, ci racconta questo tema così terribile che sembra incontenibile, ingestibile.
Lo scorso 11 dicembre 2023 presso la Direzione Centrale Polizia Criminale è stato presentato il report chiamato “Il Punto – Il pregiudizio e la violenza contro le donne“. Si tratta di un documento che studia il fenomeno della violenza di genere, a cura del Servizio Analisi Criminale, grazie alle informazioni della Banca dati delle Forze di polizia.
I dati raccolti dal 1° gennaio al 3 dicembre 2023 evidenziano una tragica realtà: sono 109 le donne uccise lo scorso anno, delle quali ben 90 hanno trovato la morte nell’ambito della famiglia/ affettivo e 58 sono state uccise dal partner/ex partner.
Inoltre, sempre in questo report c’è un capitolo che si occupa delle discriminazioni contro le donne disabili, che sono in una condizione di particolare fragilità che rivela una percentuale del 73% dei casi di maltrattamenti in famiglia, il 17% di violenza sessuale ed il 10% di atti persecutori, in relazione al periodo di ottobre 2022/ settembre 2023.
Un dato di fatto, dunque, dove a morire sono quasi sempre le donne, vittime di una mattanza, della quale non avrebbero mai immaginato di essere le protagoniste, uccise da chi diceva di amarle.
Già, l‘amore. Eppure quando si ama, si vuole il bene dell’altro, od almeno si dovrebbe, perché l’amore è dono, dono vicendevole.
Era verso la fine del XX secolo che il temine ‘femminicidio‘ viene coniato dalla criminologa sudafricana Diana Russell (1939-2020), vissuta negli Stati Uniti, morta il 28 luglio a Oakland, in California.
Il femminicidio è e rimane l’apice della spirale di violenza che, nella maggior parte dei casi, si verifica nello stesso ambiente domestico. E poi, diciamocela tutta, viviamo in una realtà in cui regole sociali e culturali ancora svantaggiano le donne e che, invece, sono a disposizione degli uomini.
“Voi siete il futuro, e ognuno di voi sta cercando di capire cosa è mancato a tutti i livelli, dai docenti agli studenti, ai genitori, perché anche io mi faccio delle domande“, aveva detto nel cortile dell’Università di Padova, Gino Cecchettin, il papà di Giulia, la ragazza che studiava bioingegneria, uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turretta.
Riflettere, dunque, dopo uno scempio del genere, perché ormai è sempre più chiaro ed evidente che i maschi sono incapaci di accettare un rifiuto, perché è sempre più necessario effettuare una vera e propria educazione affettiva che coinvolga non soltanto la scuola, ma anche le famiglie e la stessa società trasversalmente.
“Intollerabile barbarie sociale“, così è stata definita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dove è urgente fare “prevenzione, concreta e costante“, con un “impegno educativo e culturale contro mentalità distorte e una miserabile concezione dei rapporti tra donna e uomo”.
È necessario liberare le vittime da questa spirale di violenza, attuata da uomini che non sanno amare, ma è anche importante evitare a tanti bambini di rimanere orfani e di morire nel grembo delle loro mamme. E sono, quindi, alcuni errori educativi la causa, nonostante le migliori intenzioni, della formazione di fragilità nei maschi, tanto da portare a reagire con la violenza. Bisogna educare al rispetto delle regole, al riconoscimento della ragione dell’altro, senza arrivare alla negazione dell’altro.
Era la fine del mese di novembre 2023, quando la consigliera comunale di Viterbo Alessandra Croci, in sala d’Ercole di palazzo dei Priori nel corso dell’assemblea cittadina aveva messo ‘il dito nella piaga’, riaprendo per il bene comune una ferita di oltre vent’anni: la sua ferita di giovane donna presa per i capelli e picchiata dal marito, salvata da chi le ha teso una mano. La consigliera Croci ha sottolineato l’importanza di prestare “attenzione verso qualsiasi donna. Guardare al di là di parole che magari non hanno alcun significato. Tenderle la mano...”. Un “ascolto attento” lo definisce, per permettere di “percepire, oltre alle parole, una richiesta d’aiuto”.
Ci vuole responsabilità, dunque, e tutti siamo chiamati a cambiare questo assurdo e perverso gioco delle parti chiamato femminicidio, per le donne che non devono più morire. Nessuna. Nemmeno una di più.
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