Non è facile parlare di fibromialgia, perché una volta che si viene a contatto con persone affette da questa patologia, si scopre un mondo nuovo, ci si rende conto di quello che accade veramente dietro a questa sindrome. Tralasciando studi ed approfondimenti medico-scientifici, come giornalista, ma soprattutto come donna, ho voluto incontrare una persona speciale: una Libellula, anzi una Libellula Libera.
Si chiama Antonella Cannuccia, è una donna bella e solare che vola alto, oltre le conseguenze invalidanti della malattia. Insieme al marito, Francesco Piccerillo, ha fondato l’associazione “Libellula Libera“, per dare voce a quanti, come lei, combattono tutte le terribili conseguenze di questa patologia.
Antonella, cosa rappresenta per te la “fibromialgia”?
A.C. C complessa, vista la mia situazione. Sono malata di fibromialgia da circa 30 anni. Malattia che ha portato via una buona parte della mia vita, sia per le conseguenze invalidanti della patologia, che per le vicissitudini legate alla diagnosi e alla cura della stessa. Diagnosi che, come per quasi tutti coloro che ne sono colpiti, non è stata semplice, visto che alla sindrome fibromialgica sono legati oltre cento sintomi che vanno dal dolore diffuso, che può avere diverse forme, all’affaticamento, ai disturbi del sonno fino alla difficoltà a concentrarsi e alla perdita di memoria a breve termine ecc. La fibromialgia può svilupparsi a qualsiasi età, con una incidenza più alta nella popolazione femminile rispetto a quella maschile. La caratteristica di questa sindrome è il dolore cronico e debilitante tanto debilitante che tu non hai più una vita.
Questo è parlar chiaro, Antonella, sulla propria pelle…Quindi, come si svolgono le tue giornate?
A.C. La mia vita è scandita dal dolore, dove divento un peso per ne stessa e per la mia famiglia, ma soprattutto in tutto questo ci si ritrova sole. Sì, perché io, come tante come me, sono intrappolata in un corpo di una novantenne con tutte le problematiche di un anziano, non ho più una vita e non riesco nemmeno a provvedere ai bisogni miei e della mia famiglia. Tutto è cominciato dopo la mia gravidanza gemellare, ho iniziato a non sentirmi più bene. Mal di schiena che non passa, astenia, malesseri continui e, di conseguenza, visite su visite da diversi specialisti per dare un nome a quello che mi stava succedendo. E siccome le cure non sortiscono i risultati attesi, qualcuno pensa anche alla depressione. I medici non la conoscono o la classificano come malattia psichica, le Istituzioni che dovrebbero tutelare il malato non la riconoscono come invalidante e se ne lavano le mani anche se si tratta di un disturbo che condiziona in modo pesantissimo la vita di ogni giorno. E così noi donne, perché l’80% delle persone che soffrono di fibromialgia sono donne, rimaniamo sole con i nostri dolori invalidanti e con il peso di non essere capite né supportate.
Attualmente, vista dalla tua angolatura, come si presenta la situazione per i fibromialgici?
A. C. Ancora difficile. Non essendo riconosciuta dallo Stato Italiano, anche se lo è dall’OMS fin dal 1992, non consente ai malati di usufruire di tutte le agevolazioni come esenzione ticket di esami e delle prestazioni professionali che tutti i malati che soffrono di patologie croniche ed invalidanti sarebbero tenuti ad avere gratuitamente o presidi ospedalieri che possano curare e fare ricerca su questa patologia. Non si può nemmeno sperare nella ricerca scientifica, perchè se la malattia non è riconosciuta non parte nemmeno quella.
Cosa ti auguri, cosa vuoi che si ottenga?
A.C. Come fibromialgica, come donna, madre e moglie combatto per vedere riconosciuti i diritti di quelli nella mia situazione. Attraverso la mia Associazione “Libellula Libera” tengo tenere alta l’attenzione sul problema, in modo che le Istituzioni non si dimentichino dei fibromialgici. La fibromialgia non è una malattia rara, visto che la stima delle persone colpite è tra il 2-3% e l’8%, ma manca una preparazione dei medici sulla patologia. Chi fa una diagnosi corretta se la stragrande maggioranza dei medici non la conosce e neppure ci sono centri di riferimento? E quindi come posso avere accesso a trattamenti e cure adeguate? La Regione Lazio deve autorizzare e/o consentire l’apertura di PDTA per la fibromialgia per permettere a tanti malati di avere un identità. Io dopo 30 anni di malattia e tanti farmaci assunti, sono diventata farmaco resistente e farmaco intollerante e, non potendo più usare farmaci, ho provato altri percorsi privatamente a mie spese. Un malato non ha bisogno di teorie, ha bisogno di cure e di cure adeguate. Un malato ha bisogno di non sentirsi un estraneo nel proprio paese io sono nata in Italia e ne sono orgogliosa. Carissimi Uomini e Donne che occupate cariche istituzionali rispondete al grido mio e a quello di più di 2 milioni di malati.